70 anni di Libertà

Discorso tenuto per le celebrazioni del 25 Aprile 2015, monumento ai caduti, Braone

25 Aprile 2015

Siamo qui riuniti oggi per celebrare e ricordare il 70esimo anniversario della liberazione d’Italia. Ricordiamo oggi il sacrificio di tanti giovani, ragazzi e ragazze, donne e uomini, che nell’ultimo atto di un governo autoritario e dittatoriale, in una guerra che si era trasformata poi in guerra civile, e quindi fratricida, con un moto di orgoglio e spinti dalla sete di libertà e giustizia, hanno lottato per poter donare a noi oggi un paese libero e democratico.
La resistenza di allora ha permesso a noi oggi di poterci riunire qui oggi, senza timore alcuno, per manifestare il nostro amore per la patria, la nostra sete di pace e libertà.

Ma non userò molte altre mie parole per celebrare degnamente il 25 Aprile. Userò le parole della famiglia di Antonio Salvetti, Partigiano fucilato senza nemmeno il conforto di un parroco Venerdì 13 Ottobre 1944. Userò le parole dell’autrice del libro “Altrimenti sono flinco”, Raffaella Garlandi, che ha raccolto in un opera degna di lettura le lettere di suo Zio Antonio e dei parenti che ricordano quei terribili anni.
Antonio, dopo aver combattuto per la follia di Mussolini nella campagna di Russia, stremato anche dalla battaglia di Nikolajewka, riesce a tornare vivo in patria, ma dopo un lungo ricovero è richiamato alle armi per un altro atto di quell’assurda guerra. Ma questa volta non parte, sceglie di raggiungere tanti coetanei e uomini che stavano lottando per la resistenza. I partigiani che in quel momento storico, tanto triste per l’Italia, si erano riuniti tra le nostre montagne per cercare di scacciare il nemico. Nemico che non era solo straniero, ma purtroppo poteva anche essere il vicino di casa.

Dopo mesi di battaglia, in cui conobbe anche il Maestro Giacomo Cappellini, Antonio, o meglio Tunì come veniva chiamato, commise un passo falso. Sapendo che la madre che abitava presso il “ponte della Madonna” a Breno era malata, volle, nonostante il rischio di essere catturato dai fascisti, andare a salutarla. L’amore per la madre purtroppo gli fu fatale e venne catturato a pochi passi da casa. Senza alcun processo, dopo giorni di tortura per strappargli informazioni su altri partigiani, informazioni che ovviamente non rivelò mai, venne condotto assieme al compagno Giuseppe Cattane, di nascosto, sdraiato su un carro, presso il cimitero di Breno. Dove fu obbligato, con la minaccia delle armi, a scavarsi la fossa. Testimoni raccontano che i due partigiani chiesero il conforto di un parroco per un ultima benedizione, ma in maniera disumana gli venne negata. Furono fucilati e sepolti morenti.
Ma non voglio ricordare solo questo momento atroce, che sicuramente lascia il nostro cuore pieno di dolore e rabbia. Vorrei usare invece le parole della sorella di Tunì, Barberina Salvetti, che così racconta, dalle pagine del suo diario raccolte nel libro “Altrimenti Sono flinco” la liberazione della nostra Vallecamonica, che avvenne il 28 Aprile 1945. Sono giorni concitati quelli, anche in valle è arrivata la notizia che la ritirata dei nazi-fascisti è vicina. Ma si sa anche che, come accadde altrove, durante la ritirata vennero commesso atroci ritorsioni nei paesi che venivano abbandonati come ultimo atto folle di oppressione. Era la mattina del 28 Aprile e Beatrice ci racconta così:

Temendo che ricominciasse il fuoco, questa notte non ci siamo fidati ad andare a letto e abbiamo creduto bene di rimanere in cucina […]. Finalmente dopo una notte interminabile è giunta l’alba!
[…] Ci eravamo appena alzati, quando è venuta di corsa la Teresa della casa d sopra a chiamarci […]. Ed è sparita in fretta, senza che potessi chiedere una spiegazione. Obbedii a questo che era più un ordine che un richiamo e m’incamminai in fretta, seguita anche da mia sorella e mio cognato, camminando però sempre carponi e in mezzo ai boschi con cautela, per non essere veduti: no si sa ancora cosa c’è nell’aria!
[…]
Ci fermammo stupiti ad assistere allo spettacolo: dalla parte opposta, proprio in direzione di Cambrant, sulla strada che va a Bienno, una squadra di uomini scavalca le mura, poi il prato, poi l’altra strada più bassa, poi ancora prati e finalmente incominciarono ad arrampicarsi su per la collina del castello sempre di corsa, sembrava rincorressero qualcuno.
Io e mio cognato osservavamo immobili, senza parola, non riuscendo a capire costa stesse succedendo. Raggiunta la torre del castello gli uomini scomparvero per un momento ai nostri occhi, ma ad un certo punto dalla sommità vedemmo sventolare una grande bandiera tricolore, e la campana che prima suonava per gli allarmi aerei, scandì nell’aria ininterrotti squilli confusi e frenetici… poi emersero dall’altro della torre diverse figure di uomini: erano loro, i ribelli!
Breno era libera!!
[…] Sono davvero i nostri, i Tedeschi hanno dato la resa e se la sono data a gambe!
Quanta commozione in quei ragazzi! qualcuno saltava per la gioia, a qualche altro luccicavano gli occhi… Poi dietro l’ordine del Comandante s’affrettarono a mettersi in ordine, presero il gagliardetto della loro compagnia e in fila cominciarono a scendere, mentre noi guardando dall’alto, osservavamo da tutte le parti lunghe file di ribelli che entravano nel paese e con loro anche gran parte della popolazione brenese, che era fuggita di notte perché i Tedeschi avevano minato il paese, che sarebbe senza dubbio saltato in aria, se i ribelli non avessero fatto in tempo a disinnescare le mine:
La gente non capiva più nulla: manifestazioni di gioia, d’entusiasmo, d’amore per i liberatori, dappertutto si udiva gridare: – Sono qui i ribelli, viva i ribelli!!!
Si vedevano dalle finestre sventolare fazzoletti e panni d’ogni colore in segno di saluto.
che giornata indimenticabile, quanta emozione e quanta gioia!
Ma non ho potuto fare a meno di pensare al mio Tunì.
Se da un parte ho gioito per la sospirata vittoria, dall’altra ho sofferto perché lui non c’era a godere questo grande momento che tanto aveva sognato e che l’avrebbe ricompensato dei sacrifici e di tutte le sofferenze.
Fra quelle schiere, fra quei volti abbronzati, mi sembrava di vederlo gesticolare e allegro, mentre scendeva al piano.
In fondo la Liberazione era anche merito suo!
E con un modo alla gola ho guardato lassù verso il cimitero, dove lui dorme il sonno eterno dei martiri.

Pensando a quell’immagine del tricolore che svetta sul Castello di Breno, in segno di Vittoria e Libertà, il cuore mi si riempie di gioia e speranza. Una gioia del tutto simile quando vedo i paesi addobbati con il tricolore in occasioni delle più importanti celebrazioni. E con un po’ di rammarico noto che il nostro paese poco risponde a questo moto di orgoglio, si addobbano troppo poco le nostre case con il tricolore in occasioni di celebrazioni come quella del 25 Aprile.

La resistenza dei Partigiani ha regalato all’Italia, alla Vallecamonica, una terra libera dagli oppressori. Ma come ha stamattina ricordato il partigiano appena insignito della medaglia al valore durante le celebrazioni comprensoriali di Vallecamonica a Darfo Boario Terme “La libertà ci è costata cara, ora tocca a voi lavorare per renderla viva, per tenerla stretta”

La libertà costa cara, ed è compito di tutti noi lavorare per fare in modo che nessuno e niente possa comprometterla.

Viva la resistenza, Viva l’Italia, Viva la Pace e la Libertà.

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